Il Tarì (noto anche come tareno o tirrenus) è una moneta che ha avuto una lunga e complessa storia nel sud Italia, in particolare in Sicilia. Il suo nome derivazione araba e indica una moneta d’oro coniata per la prima in Sicilia all’inizio del X secolo, con un valore di circa un quarto di solido (0,88 g).
Storia e Diffusione
Il tarì fu un’importante valuta d’oro coniata non solo dagli arabi, ma anche dai principi normanni di Amalfi e Salerno, che ne imitarono le fattezze. Le prime versioni normanne recavano una croce e alcune lettere latine, a testimonianza del loro tentativo di integrare la moneta araba nel proprio sistema monetario.
Nel 1500, il tarì subì una trasformazione significativa, diventando una moneta d’argento. Questa nuova versione mantenne il nome, ma il suo valore era diverso e il suo ruolo nel sistema monetario cambiò. Durante il regno aragonese, fu coniato un tarì d’argento del valore di due carlini.
Nel 1713, con il Trattato di Utrecht, la Sicilia passò a Vittorio Amedeo II di Savoia. In questo periodo furono coniate monete d’argento da 1, 2, 3 e 4 tarì. Sono le uniche monete con questo nome coniate dai Savoia, che nel 1720 cedettero la Sicilia in cambio della Sardegna.
I Borbone e l’Eredità del Tarì
I Borbone di Napoli continuarono a emettere monete con la denominazione di tarì, fino al 1810 in Sicilia e fino al 1860 a Napoli, prima dell’Unità d’Italia. Le ultime emissioni dei Borbone furono fatte in argento o in rame, e la loro presenza testimonia la lunga vita di questa moneta.
In sintesi, il tarì è un esempio straordinario di come una moneta possa viaggiare attraverso culture e secoli, adattandosi a nuovi regimi politici e a nuovi sistemi monetari. La sua storia ci offre uno spaccato affascinante dei complessi rapporti tra il mondo arabo, i normanni, gli aragonesi, i Savoia e i Borbone nel sud Italia.

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